LA CACCIA ALLE STREGHE
La misura più esatta della potenza di Satana è data
dalla credenza nella stregoneria e dalla conseguente persecuzione delle streghe
avvenuta nei secoli XV-XVIII quando una fitta schiera di persone, in prevalenza
donne, inizia ad essere sospettata di adorare il demonio, di recarsi
abitualmente a degli incontri notturni, di realizzare malefici e fatture, di
intrattenere rapporti con forze oscure ed infernali da cui riceve i poteri per
danneggiare l’uomo.
Tra i più antichi processi italiani, due documenti molto interessanti si
trovano fra le sentenze del Podestà di Milano che vanno dal 1385 al 1390.
Riguardano due processi, con imputate due donne, dibattuti davanti al Tribunale
dell’Inquisizione nella sua prima sede di Sant’Eustorgio.
Questi documenti sono davvero rilevanti perché ci
mostrano una forma di stregoneria diversa da quella più nota del Cinquecento e
Seicento.
Si parla, infatti, della Società di Diana,
testimoniata dalle deposizioni delle imputate, società descritta come una
compagnia che si raccoglie intorno ad uno spirito buo-no: Diana o Erodiade.
Nelle adunanze del giovedì non si attende ad altro che a opera-zioni o a
istruzioni di magia: la maestra predice il futuro, insegna la virtù delle erbe,
il modo di curare dalle malattie; oppure in sua compagnia si va in giro per le
case dei ricchi,
si mangia e si beve. Non c’è alcuna palese e solenne
rinuncia a Dio, manca la
parodia dei riti cristiani, eseguita col calpestare e contaminare la
croce, non si offre al diavolo l’ostia avuta con frode dal sacerdote; non v’è
neppure l’ombra della danza demoniaca e l’orgia lussuriosa, elementi che
contraddistinguono invece il sabba dia-
bolico.
Si avanza l’ipotesi che la credenza nella Società
di Diana sia rimasta per molto tempo separata dall’altra credenza nelle streghe
malefiche e nei loro incontri per sco-
pi
prettamente negativi.
Nei secoli seguenti, però, si assisterà al
passaggio di testimone tra Diana e Satana; quest’ultimo, infatti, diventerà il
nuovo ed indiscusso protagonista dei racconti e delle
confessioni
degli imputati durante i processi inquisitori.
In alcuni
processi italiani del secolo XV e dei primi del XVI, infatti, le streghe ini-
ziano ad assumere il diavolo come
loro Dio. Il loro obiettivo è quello di spargere san-
gue ed odio, situazione ben
lontana da quella che interessava le seguaci di Diana.
Il
confluire, in Italia, di elementi della stregoneria moderna nella credenza
della
Società di Diana, si avverte,
quindi, dalla prima metà del secolo XIV. Un esempio è
rappresentato dal Boccaccio nel Decameron e in modo
particolare in una novella di quest’opera, nell’ottava giornata, in cui il
letterato tratta il tema della società di Diana
e
compaiono, seppur in misura inferiore, elementi della stregoneria moderna.
I motivi dell’antica società si
possono cogliere ancora più vicini alla scomparsa in un processo del 1518,
svoltosi nel convento di San Domenico a Brescia. L’imputata è
una certa
Benvenuta, soprannominata Pincinella dal nome del marito, Pincinello, di
Nave
presso Brescia.
Le colpe riconosciute a Benvenuta erano davvero tra le più pesanti ed
infamanti:
veniva
accusata di stregoneria, di far ammalare i bambini, di conoscere ricette magi-
che
apprese dal demonio. Ella stessa confessò di aver ottenuto dei poteri da un di a-
volo di
nome Giuliano, dopo aver rinnegato Cristo.
Mella o al Tonale e lo faceva
dopo essersi messa sulle spalle di Giuliano.
Altre
volte il diavolo assumeva le fattezze di un animale, altre volte le streghe
arri-
vavano al
sabba dopo aver intriso un bastone con un unguento magico che permetteva loro
di volare. Quando l’unguento finiva, il diavolo gliene forniva altro.
Benvenuta sostiene, inoltre, che oltre che dal demonio, il sabba fosse
presieduto da
un altro personaggio, femminile,
che ella stessa definisce: la «signora del zuogo».
Da ciò
che espose Benvenuta durante il processo già si vede maturare la strega m a-
lefica nella sua forma
tradizionale. Nel sabba, lo spirito venerato è già il diavolo a n-
che se
non è solo in quanto al suo fianco vi è la «signora del zuogo», riverita come
la dea. Ma la signora del zuogo, dai racconti dell’imputata, è ben lontana
dall’immagine
di Diana
o Erodiade in quanto adesso le sue funzioni sono totalmente cambiate: essa
getta a terra la croce mentre i
partecipanti la calpestano, la dea non insegna cose buo-
ne ma ordina di compiere più male
possibile.
I motivi
dell’antica società durano, come vediamo, in parte, ma hanno acquistato
un carattere di osceno e
terribile.
Il
processo contro Benvenuta, detta Pincinella, che Bonomo ci mostra nella sua
opera è
fondamentale per capire il passaggio dei poteri da Diana-Erodiade a Satana. Le
innocue riunioni dell’antica Società di Diana si trasformano in adunanze
esoteri-
che per
tramare contro la gente, dirette dal diavolo.
Informazioni relative alla nuova stregoneria in
Italia all’inizio del XVI secolo, si possono ottenere dall’attività di tre
streghe di Cassano d’Adda, processate nel 1520.
Le accusate vengono incolpate di aver ucciso
bambini, di aver profanato la croce, aver contaminato l’ostia trafugata in
chiesa, di aver mangiato cani, oche e polli in
compagnia
del demonio.
Una di
esse confessa di aver invocato il diavolo all’interno di un cerchio tracciato
con un
coltello.
tro una strega perugina: Bellezza Orsini. La donna
sostiene di conoscere i rimedi per guarire le persone ma si difende dall’accusa
di stregoneria; una volta torturata, però,
Bellezza Orsini confessa la sua vita votata al diavolo. Ella sostiene che
per diventare strega sia necessario trovare una buona maestra che ordina
all’iniziata di recarsi alla
fonte dove ha ricevuto il battesimo, rinnegare Dio e chiamare il
Diavolo. La maestra, in seguito, unge l’iniziata con l’unguento diabolico ed
insieme si recano al noce di Benevento, è lì che viene realizzato l’unguento
che fa volare, fatto col cadavere di un
bambino
nato morto o pagano, cioè deceduto senza aver ricevuto il Battesimo.
Bellezza
Orsini prosegue la sua confessione, facendo emergere dei dettagli davvero
raccapriccianti, palesando agli
inquisitori i segreti diabolici per procurare qualsiasi ti-
po di male.
In età
moderna, con il dilagare della stregoneria che veniva sempre più alla luce
grazie ai processi in tutta
Europa, si assiste al moltiplicarsi dei trattati di demonolo-
gia. La
sistematica caccia alle
streghe richiese la
conoscenza approfondita degli
aspetti della stregoneria stessa.
Un’opera
davvero fondamentale fu il Malleus
Maleficarum (il Martello delle stre-
ghe), un testo in latino
pubblicato nel 1486, i cui autori furono due frati domenicani:
Jacob Sprenger e Heinrich
Insistor Kramer. Il Malleus suggerisce che atteggiamento
adottare nei riguardi della
stregoneria, mette in cattiva luce la donna mentre nell'ulti-
ma parte si occupa di fornire
istruzioni pratiche sulla cattura, il processo, la detenzio-
ne e
l'eliminazione delle streghe.
Secondo
gli autori, infatti, durante un processo, procedendo contro un’accusata di
stregoneria il giudice deve tener conto di tre cose fondamentali: della
fama della don-na, degli indizi o dell’evidenza del fatto, degli interrogatori
dei testimoni.11
Secondo
lo Sprenger e il Kramer, l’accusata interrogata sui delitti di cui è stato in-
formato il tribunale, può confessare immediatamente
o può negare tutto. Nel primo caso, ovviamente il processo sarebbe stato
brevissimo; al contrario, se l’imputata non
avesse confessato, il giudice avrebbe potuto procedere alla tortura
della stessa. Spesso le donne sotto tortura non pativano alcun dolore grazie
all’aiuto del demonio o adot-tavano sortilegi ed incantesimi per non dire la
verità.
All’eventualità, non infrequente, della morte
dell’inquisita durante il processo, per le atrocità a cui era sottoposta, lo
Sprenger e il suo collega trovavano una giustificazione per discolpare il
tribunale gettando le colpe su Satana, giunto a prendersi le legittima preda,
sottraendola al rogo.
Nel fluire della sua opera, tra
processi e caccia alle streghe, Bonomo dedica uno spazio ai luoghi di riunione
prediletti dalle streghe.
I luoghi preferiti dalle fattucchiere venete e
lombarde nel Cinquecento e Seicento erano il passo del Tonale e il monte
Crocedomini.
Una certa Onesta, processata nel 1518, nella
confessione resa al giudice, afferma di essere andata al Tonale su una capra,
di avere un diavolo per amante, di aver reso omaggio al demonio che sedeva in
cattedra e di aver ricevuto in cambio una polvere che faceva morire la gente.
Nell’Italia meridionale, invece, la tradizione
popolare localizzò presso Benevento sotto un albero di noce un luogo di
notturne riunioni di streghe, in cui si davano ap-puntamento i seguaci di
Satana del Mezzogiorno.
Oltre che nei processi di stregoneria, i
riferimenti alla noce beneventana sono assi-dui anche nella letteratura del
Cinquecento e Seicento, basti pensare agli accenni pre-senti nella Cortigiana dell’Aretino o nella Gelosia di Grazzini.
Ma fu, in modo particolare, uno
studioso ad occuparsi dell’arbusto magico: Pietro Piperno. Quest’ultimo era un
filosofo, medico e protomedico della giurisdizione di
Santa Sofia in Benevento, autore di un trattato in latino intitolato De nuce maga be-neventana, stampato a
Napoli nel 1635.
Al breve trattato il Piperno fece seguire uno
studio in italiano, Della superstiziosa
noce di Benevento. Trattato historico,
dedicato a Giovanni Camillo Bilotta, patrizio beneventano, il 3 agosto 1639. Piperno nel suo testo fa risalire
l'origine delle streghe
beneventane al tempo dei Longobardi e precisamente all'epoca del Duca
Romualdo. Secondo quanto racconta Piperno, che a sua volta desume le notizie da
una leggenda di San Barbato, i Longobardi adoravano una vipera d'oro e
celebrano i rituali attorno ad un albero. Importante è che egli aggiunge
all’opera una piantina in cui disegna l’ubicazione della pianta magica.
Nell’ultima parte della sua opera, Bonomo dedica un
capitolo a quelli che egli stes-so definisce con l’espressione «avvocati delle
streghe», coloro che si contrapposero a chi invece dedicò la sua esistenza a
cercare di reprimere il fenomeno della stregon e-ria. Uno dei primi oppositori
dei roghi delle presunte streghe, fu il frate Giordano da Bergamo, domenicano e
dottore in teologia.
Egli fu autore nel 1460 di un testo, Quaestio de strigis, in cui sostiene che
le se-guaci di Satana vadano perseguite penalmente e condannate ma concepisce
la figura della strega non come persona consapevole delle sue nefande condotte,
ma piuttosto come uno strumento nelle mani del demonio.
Contro gli «sterminatori di streghe» si
schierarono, pure, personaggi illustri del ca-libro di Leonardo o del Cardano
che cercò di spiegare razionalmente la stregoneria.
In conclusione: la strega è
indubbiamente un personaggio ben radicato all’interno del folklore italiano, da
un tempo immemorabile.
I roghi delle streghe, però, sono un ricordo
lontano e i trattati cui esse diedero ori-gine, giacciono nelle biblioteche;
qualche lettore a volte ne legge le pagine ingiallite tra l’incuriosito e il
divertito. Ma quei libri, e non meno i processi di stregoneria, met-tono in
evidenza il tormento di una parte della popolazione europea nei secoli XV-
XVIII.
La critica moderna non ha cessato di occuparsi del
problema della stregoneria. Il fatto è che le credenze e le paure non si
dissolvettero come il fumo dei roghi da esse accese. Le streghe non sono
affatto scomparse dalle grandi città e dai piccoli villaggi: sopravvivono. Le
rilevanti sopravvivenze della stregoneria cinquecentesca o moderna
e quelle della più antica Società di Diana, che si ritrovano nel
folklore italiano, do-cumentano il perdurare nella vita del nostro popolo di un
mondo e di una mentalità, per alcuni aspetti, non tramontati.
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