IL LAMENTO FUNEBRE E LA CRISI DELLA PRESENZA



La morte di una persona cara è un momento estremamente doloroso e intriso di angoscia. Per evitare quella che Ernesto de Martino definiva la “crisi della presenza”, concetto con evidenti risonanze alla filosofia heideggeriana, in alcune zone dell’Italia meridionale, negli anni ’50, in occasione della morte di una persona cara, venivano intonati dei canti, detti lamenti, funebri per scongiurare gli effetti negativi della perdita.

Ernesto de Martino nasce a Napoli nel 1908 ed è indubbiamente il principale esponente dell’antropologia italiana e mondiale, conduttore di studi rilevanti sui fenomeni della tradizione popolare del Sud d’Italia e autore di illustri opere come Sud e magia, Il mondo magico, La fine del mondo.
Nel 1958, con la Feltrinelli,pubblica a Torino l’opera Morte e pianto rituale in cui illustra l’elaborazione del lutto in alcune aree della Lucania, facendo emergere la sussistenza di riti specifici e antichi, presenti in zona prima dell’avvento del Cristianesimo. Il canto veniva intonato dai parenti del morto e dalle prefiche, presenti anche nell’antico Egitto e nell’antica Grecia,  donne incaricate di piangere e disperarsi per il defunto. Le prefiche comparivano anche nella tradizione salentina degli anni ’50 con il nome di chiangimuerti.
I canti erano grida di dolore ricchi di mimica, versi e disperazione; uno sfogo, un gesto necessario per superare la sofferenza. Un vero e proprio piagnisteo che cresceva d’intensità e pathos.
Nella sua opera de Martino vuole dimostrare, come già aveva fatto in precedenza attraverso i suoi lavori, di come il rito sia capace di evitare la “crisi della presenza”; presenza significa partecipazione attiva, esserci, come persone dotate di senso. Qualsiasi evento traumatico che possa minare la presenza, come, appunto, la morte di un caro, viene esorcizzato attraverso il rito, così come accade per i lamenti funebri.

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